mercoledì 21 dicembre 2011

Che ce vulite fa'! A me il Capodanno napoletano me piace e scrivo una cartolina




Fra qualche giorno sarà Capodanno e a Napoli avverrà l’abituale esplosione di gioia collettiva che si manifesta in una festa di luci e di botti. L’occhio moralista e puritano si affretterà a cercare nei giornali del giorno dopo il numero dei feriti a causa dei festeggiamenti. Normalmente questo numero è di molto, molto inferiore a quello dello sballo del sabato sera o degli ordinari incidenti stradali. Il motivo è che a Napoli si spara in famiglia. I bambini prendono parte alla festa, si entusiasmano per i fuochi che vedono, e accendono le “stelline”, quei minuscoli fuochi d’artificio che producono stelle attorno a un’asticella di fil di ferro. I grandi vegliano su di loro.
La festa è stata sempre, in ogni cultura, la sospensione dell’attività ordinaria per un motivo religioso. E’ il momento in cui ci si confronta con la divinità e in modo conviviale si riflette con gioia sul senso ultimo della vita. Chi vive nella festa un momento di godimento egoistico non sta festeggiando realmente, come provano certi veglioni anonimi che sembrano più tristi che allegri. Manca qualcosa. Nel Capodanno napoletano la famiglia è unita ed è unita la città. Tutti partecipano ad un evento corale. Sembra che nessuno sia assente alla festa, anche i poveracci e gli inguaiati partecipano. E’ un momento in cui tutti sono uguali e fratelli. Una città umiliata dalla storia si ritrova ricca di umanità, capace di rincominciare la fatica di vivere. E’ un evento che va guardato con comprensione e ammirazione.



Il mio Te Deum di fine d'anno per la rivista Tempi




Si conclude l’anno in cui abbiamo commemorato i 150 anni dell’unità d’Italia. Quasi ce ne dimentichiamo perché in questi ultimi mesi ci hanno distratto i venti di crisi che si sono abbattuti sul nostro Paese. Però, proprio per la crisi che lo attraversa, gli vogliamo un po’ più di bene a questo stivale che raccoglie tanta bella gente come una cornucopia traboccante. Mi piace l’immagine della cornucopia perché contiene cose buone e anche perché le sparge in giro con abbondanza. Una volta sentii dire da un sacerdote – veronese, si badi bene – “cosa sarebbe il mondo senza Napoli?”. Certamente un leghista direbbe subito che ci sarebbe meno spazzatura in giro, ma se avessimo la pazienza di aspettare alcuni anni, quelli necessari al leghista per diventare più saggio e maturo, vedremmo che anche lui cambierebbe parere e ammetterebbe che, se non ci fosse Napoli, al mondo mancherebbe un pezzo significativo. Allo stesso modo si potrebbe dire: “come sarebbe il mondo senza l’Italia?”. Stavolta il pezzo mancante sarebbe così essenziale che non riusciamo nemmeno a immaginarcelo un mondo senza l’Italia. L’Italia non è solo Roma, ma già Roma, da sola, è caput mundi, da diversi punti di vista. Quindi senza Italia, mio caro mondo, saresti decapitato.
Volendo esprimere ciò che, secondo me, fa di un italiano un italiano vero, non mi vengono in mente i versi della canzone di Toto Cotugno, simpatica ma non esaustiva. Mi viene in mente Francesco d’Assisi. Perché, a pensarci bene, in ogni italiano c’è un residuo di San Francesco. Per alcuni in modo diluito, in modo tanto diluito da sembrare assente. Ma c’è, anche se in modo inconscio. Chi ha trasmesso agli italiani il fascino del cantico delle creature? E’ un cantico che periodicamente va riletto perché lì non c’è solo la fede, la speranza e la carità, lì c’è lo stile italiano, l’italian way of living, tanto per dirla in modo non italiano. Sono stato molto amico di un italiano vero, Indro Montanelli, e ho tentato in vari modi di portarlo alla conversione e alla confessione. Sono riuscito solo a portarlo dal Papa, il che non è stato poco, soprattutto per lui. Ma nella sua mente, ricca di cultura ma priva di teologia, c’era una porta per la fede e quella porta si chiamava San Francesco. La mamma di Indro era credente e pregava per il figlio, e Indro qualificava la fede della madre come “francescana”. Alludeva a quell’intuizione di Dio che lui non rifiutava. Indro stimava e amava la sua “mammetta”, come diceva, e sono stato testimone, qualche ora dopo l’attentato che subì nel ’77,  della sua amorevole preoccupazione di non far spaventare sua madre. Dette subito ordine di dare per guasto il televisore e telefonò alla mamma intrattenendola lungamente, per poi aggiungere alla fine che, se qualcuno le parlava di un attentato, si trattava di ben poca cosa. Eh la mamma, la mamma! Ecco un’altra caratteristica dell’italianità: la mamma. E quasi ce ne vergogniamo. Sembra che quel bel sentimento di amore della mamma e per la mamma sia qualcosa da coprire con pudore. All’estero, si dice con ammirazione, non c’è questo mammismo. Non bisogna esagerare col mammismo ma, quando si va a parlare di soldi (che sembra l’unico argomento serio sulla piazza), si scopre che il debito pubblico del nostro Stato è bilanciato da un risparmio familiare che equilibra le sorti economiche del paese. E la famiglia che risparmia chi è? Quella in cui c’è la mamma, che insegna l’equilibrio e la sobrietà. Perciò vorrei contare due punti a favore degli italiani: San Francesco e la mamma.
Sentiamo lamentare la fuga dei cervelli che dall’Italia vanno in America o, genericamente, all’”estero”. Ma ci chiediamo ogni tanto perché questi cervelli all’estero hanno tanto successo? Si devono confrontare con gli indiani e i cinesi che escono fuori da selezioni oceaniche. Uno su un milione. I cervelli asiatici che trovano accoglienza in America ci arrivano così, attraverso una selezione supersevera. Capita che un normale laureato italiano abbia sempre una buona accoglienza e spesso il successo immediato “all’estero”. Come mai? Una ragione ci deve pur essere. Secondo me la ragione è che la storia non è acqua e che il nostro popolo, dalla Sicilia al Piemonte, è – diciamolo pure, superando l’abitudine all’autodenigrazione - intelligente. Non solo, ma dobbiamo anche dire una verità controcorrente: la nostra scuola è buona. Gli attuali padroni del mondo, i noti anglo-olandesi-americani e i nuovi indiani, cinesi, brasiliani ecc., avranno pure una formazione scientifica specialistica ma non hanno la tradizione umanistica, che, con buona pace e rispetto per altri popoli e culture, ha  le radici a casa nostra. Radici, come ha detto recentemente il Papa parlando al parlamento tedesco, che sono romane, giudaiche e greche. Scusate se è poco. E queste radici quale albero hanno alimentato? L’albero dell’umanesimo preparato nei monasteri di tal Benedetto, classe 480 dopo Cristo, nato a Norcia (non a Oxford, Cambridge o Parigi) paese noto per i prosciutti e la buona cucina. Benedetto, è da osservare, nacque quattro anni dopo la deposizione di Romolo Augustolo, ultimo imperatore romano d’Occidente. Potremmo dire che idealmente ne raccoglie il testimone. Ricordo cose note ma sembra che alle volte ce le dimentichiamo. E il succitato Francesco da dove viene fuori? Viene dalla fioritura di quel Medio Evo che precedette lo splendore del rinascimento italiano che ci ha lasciato, malgrado tutto, il buon gusto nelle vene, tanto che la nostra moda continua a primeggiare malgrado i bot, lo spread e la BCE. A proposito, a Napoli quest’anno hanno inventato un nuovo fuoco d’artificio “o’ spred” che, alla faccia di chi continua a chiedersi cosa sia lo spread, illuminerà il golfo di Napoli al modico prezzo di 50 euro. In sintesi in questa nostra Italia non manca né l’intelligenza né la cultura. Se ne fa spreco, ma si spreca ciò che si possiede in abbondanza.
E infine vorrei fare una considerazione: noi  italiani abbiamo difetti, è vero. Ma sappiamo di averli. Sembra poco? Ho un amico francese che un giorno mi ha chiesto comprensione per i suoi connazionali. “Non è colpa nostra se ci presentiamo come presuntuosi e antipatici, è che fin dalle elementari c’insegnano che i francesi sono i migliori del mondo”. Guai a quelli che si sentono Uber alles! Nostro signore Gesù Cristo ha detto una sola volta “imparate da me”. Cosa dovevamo imparare da lui? “Che sono mite e umile di cuore”. Noi italiani forse non l’abbiamo imparato bene bene, però ci sentiamo i primi al mondo soltanto quando vinciamo i campionati mondiali di calcio. E siamo anche primi nelle spedizioni all’estero dei nostri militari, perché siamo i più amati dalle popolazioni locali. Militari che non si fanno onore perché sparano all’impazzata ma perché aiutano la povera gente. Ed è allora che mi viene da dire Viva l’Italia! Viva il cuore degli italiani!
Alla fine dell’anno, per questi motivi e per tanti altri mi sento di ringraziare il Signore, personalmente e come italiano: sono pieno di difetti Padre mio ma, grazie a tuo figlio Gesù, mi hai insegnato a voler bene. Non ci riesco a farlo del tutto ma, col Tuo aiuto, ci provo.



domenica 18 dicembre 2011

Cartolina di Natale per Tempi e una poesia di Saba, poeta grande e bambino





Nel Vangelo Gesù insiste più volte che dobbiamo diventare come bambini. Quando gli apostoli dimostrano di non capire, prende un bambino, lo pone in mezzo a loro e dice: chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli (Matteo 18,4). E’ da notare che, per farsi capire bene, Gesù prende un bambino in carne e ossa, in modo che resti bene in mente. Quante volte, dopo la morte e risurrezione di Gesù, gli apostoli avranno ricordato quella scena e il volto di quel bambino che doveva ispirare la propria vita. Un’altra volta Gesù ringrazia suo Padre Dio perché ha nascosto la verità ai sapienti e agli intelligenti e l’ha rivelata ai piccoli. Quante volte restiamo sconcertati quando i bambini fanno domande disarmanti, semplici e profonde, sulla creazione, su Gesù, sulla vita eterna!
Come poteva nascere Gesù se non in condizioni di umiltà? non solo piccolo Lui, come è logico, ma in un contesto piccolo. Viene annunciato ai pastori, che erano i “piccoli” della società. Gesù ci evangelizza fin dalla nascita. Vuol farci capire che Adamo ha introdotto la sofferenza e la morte perché non si è fidato di Dio e ha scelto se stesso, mentre Lui porta la felicità e la vita eterna perché sceglie il servizio umile. San Josemaría diceva che il presepe è una cattedra. Perciò bisogna farlo il presepe perché insegna il segreto della felicità ai bambini e a quel bambino che è in noi. Mettiamo con trepidazione, amore e commozione il bambino nella culla nella Notte Santa.






A Gesù Bambino
di Umberto Saba
 
 La notte è scesa
e brilla la cometa
che ha segnato il cammino.
Sono davanti a Te, Santo Bambino!
Tu, Re dell’universo,
ci hai insegnato
che tutte le creature sono uguali,
che le distingue solo la bontà,
tesoro immenso,
dato al povero e al ricco.
Gesù, fa’ ch’io sia buono,
che in cuore non abbia che dolcezza.
Fa’ che il tuo dono
s’accresca in me ogni giorno
e intorno lo diffonda,
nel Tuo nome.

domenica 11 dicembre 2011

L'Immacolata per noi in vista del Natale. Cartolina per Tempi



La settimana scorsa abbiamo celebrato la festa dell’Immacolata Concezione e ora andiamo verso il Natale dove ancora, dentro la Grotta, Maria avrà un posto di preminenza. I teologi ci hanno spiegato cosa vuol dire Immacolata Concezione. La Vergine è nata senza peccato originale grazie ai meriti di Suo Figlio. Per noi cosa significa? Significa che Maria è perfettamente donna. La donna nel modo più nobile che si possa concepire. Piena di grazia in tutti i sensi. E soprattutto fonte dell’amore.
Noi l’amore l’apprendiamo dalla madre. Da lei impariamo cosa vuol dire amare in modo incondizionato, non giudicare i figli ma comprenderli e giustificarli, prevenire i pericoli. Non c’è esperienza più commovente di quella dell’affetto materno. Fin dalla nascita Maria è così. Donna in tutto. Madre, donna gentile, dallo sguardo profondo, dal cuore che custodisce la verità, che sa prevenire e capisce tutto di noi. Giovanni Paolo II era innamorato della donna perché amava Maria e ha detto le cose più belle che si possono dire su di lei. Sarà la donna e la sua stirpe che schiaccerà la testa del serpente. Eva più che cattiva sembra superficiale. Maria no: maestra del sacrificio nascosto e silenzioso ci offre Gesù. Abramo ha accettato di sacrificare suo figlio ed è il padre della nostra fede, Maria ci offre Suo Figlio ed è madre del nostro amore. Sotto la Croce ci adotta pienamente. La pietà di Michelangelo raffigura Maria che veglia sul corpo morto di Gesù. Così sarà Maria per noi nell’ora della nostra morte. 




domenica 4 dicembre 2011

Contenti



Contento viene dal verbo contenere. E’ contento chi è soddisfatto di ciò che ha. Questo semplice e modesto aggettivo racchiude in sé una gran ricchezza, si potrebbe dire che è la chiave della felicità. Nella vita possono capitare disgrazie, dolori: alcuni di questi reali, altri aumentati dalla nostra immaginazione e suscettibilità. E’ la fede che raccorda la vita delle creature alla volontà del Creatore. San Paolo diceva che per chi ama Dio tutto concorre al bene, anche i dolori perché solo alla fine della vita comprenderemo il senso positivo di ciò che è accaduto. Quando viviamo di fede siamo contenti perché diventiamo umili. Si può immaginare la Madonna addolorata ma non troveremo un’immagine della Madonna scontenta o arrabbiata. In cambio l’orgoglioso è sempre scontento perché secondo lui ha ricevuto meno di ciò che merita.
In più la persona contenta rende serena la vita agli altri, sorvola sulle frizioni immancabili fra caratteri, vede l’aspetto positivo delle cose. Con lui ci si confida, gli si chiede consiglio. La virtù della contentezza è utile non solo nella vita personale, familiare e professionale ma anche sociale. Ora che l’orizzonte politico-economico è cupo c’è bisogno di persone che sappiano “accontentarsi”, lavorare e intraprendere. Solo chi è contento è creativo. L’arrabbiato non vede prospettive. Questo momento può essere positivo. Il ministro Passera ha detto una bella cosa:”stupiremo il mondo”. Ecco, se sappiamo essere contenti, noi italiani stupiremo il mondo. 


venerdì 2 dicembre 2011

Non ci scoraggiamo. La cartolina su Tempi di dicembre




Ettore Bernabei, il novantenne leggendario “uomo di fiducia” che ha
attraversato la storia del nostro Paese nel dopoguerra, mi ha raccontato di
aver assistito al dialogo fra Giorgio La Pira e Giuseppe Dossetti quando
quest’ultimo decise di abbandonare la vita politica, convinto che il
comunismo avrebbe vinto. A Dossetti, che enumerava i successi avuti dalla
Russia sovietica - dal lancio dello Sputnik nello spazio ai nuovi
formidabili armamenti - La Pira rispondeva sereno: “Il comunismo ha perso, e
sai perché? Perché è ateo!”. Frase profetica sbalorditiva se si pensa agli
anni in cui fu pronunciata.

Forse La Pira avrebbe qualcosa da dirci anche adesso quando il mondo sembra
definitivamente dominato da un sistema tecnocratico finanziario privo di
pensiero, se si esclude una larva di pensiero protestante secolarizzato
propria dei paesi anglosassoni. Per la logica dominante dopo il crollo del
muro di Berlino, l’Italia è tornato ad essere un paese che ha perso la
guerra, indifeso rispetto alle speculazioni finanziarie. Ma l’Italia non è
un paese ateo. E’ un paese che ha inventato la finanza ed ha prestato soldi
ai re di Francia. E’ il paese che ha inventato nel Medio Evo le
confraternite di mutuo soccorso, alcune delle quali sopravvivono ancora. E’
il paese della bellezza e dell’umanità. Perciò guai a scoraggiarci. I nostri
giovani devono studiare l’economia come la storia e la teologia. E saranno
loro che sapranno costruire un mondo in cui la persona tornerà ad essere il
centro.

ultima cartolina di novembre sul Paradiso




Il mese di novembre volge alla conclusione e termina così un periodo in cui
si è pensato spesso ai nostri cari defunti. Il tema della vita eterna in
qualche modo è entrato nei nostri pensieri e nei nostri discorsi. Una
domanda resta. Come sarà il Paradiso?
Togliamo subito dal campo qualsiasi incertezza: noi non riusciamo a
immaginare come sarà il Paradiso. San Paolo che vi è stato mentre era ancora
in vita ha testimoniato che né occhio umano mai vide né orecchio mai sentì
ciò che il Signore ci ha preparato. Udì parole “indicibili” il che vuol dire
che superano la nostra capacità di comprensione. Per fortuna. Altrimenti, se
lo potessimo comprendere, il Paradiso sarebbe ben poca cosa.
Gesù spesso, per far capire cosa ci aspetta, fa riferimento al banchetto, ad
una dimensione conviviale in cui si sta felici insieme, accolti dal Padrone
di casa. Sarà come ritornare nella casa paterna dove ci sono persone che ci
vogliono bene e a cui vogliamo bene. Ci sentiremo finalmente nella nostra
patria (che vuol dire terra del padre) e diremo: finalmente sono a casa! In
un clima familiare ed affettuoso. Il Paradiso comincia da questa terra  e lo
si trova seguendo il primo comandamento di Gesù: amare gli altri come Lui ci
ha amati. Perciò saper voler bene è lo stile del Paradiso in terra. Non
l’orgoglio che mette le distanze ma la semplicità affettuosa e
incoraggiante, la serenità contagiosa, la sicurezza che, per chi ama Dio,
tutto concorre al bene, come diceva l’esperto di Paradiso, San Paolo.