mercoledì 28 ottobre 2015

Ripartire da zero

 
"Siamo chiamati a diventare gli strumenti di Dio Padre perché il nostro pianeta sia quello che Egli ha sognato nel crearlo" dice Papa Francesco nella Laudato sì (n.53). Essere strumenti di Dio Padre è meraviglioso. Quando sento la frase: “Dobbiamo recuperare il senso del peccato” mi rattristo, non perché non sia d’accordo, ma perché soltanto quando c’è un reale rapporto con Dio allora nasce il dispiacere di non essere in sintonia con Lui. Occorre parlare di Dio. Anni fa si diceva: “Dio è morto”, ora non si dice più perché si dà per scontato che non esista, e poi ci chiediamo come mai abbiamo la sensazione di scivolare in un inferno. Io devo preporre a tutto il rapporto con Dio e allora scoprirò che il Paradiso comincia ora. Saper voler bene, sentirsi figli piccoli di Dio: è l’inizio di un sentiero che porta alla felicità propria e altrui. Liberiamoci dell’arte che non cerca la bellezza. Io cerco la bellezza, quella vera, perché mi parla di Dio. Devo contribuire ad una nuova cultura dove la bellezza e l’amore abbiano cittadinanza. Mi sento desolato quando sento parlare di bambini privati di una mamma o dell’utero in affitto: la bruttezza esala da queste parole, ma è un richiamo ad essere “strumento di Dio”, a propagare amore, bellezza e conoscenza del vero. Abbiamo l’opportunità di ripartire da zero, dal deserto, per costruire consapevolmente una nuova civiltà. E’ un compito che spetta in particolare a noi italiani. Non a caso i due ultimi Papi hanno scelto il nome di santi italiani. 


venerdì 23 ottobre 2015

il compito che ci attende

 
Le civiltà tramontano perché invecchiano e muoiono: così l’Occidente manifesta i segni del disfacimento. Basta pensare come i princìpi della cultura dominante mostrano la loro fragilità. “Time is money” si dice (non a caso in inglese) per dire che il tempo è denaro. Grande sciocchezza. Ricordo con quanta intensità San Josemaría diceva che il tempo è poco per amare. Il tempo è grazia non denaro. La democrazia e la libertà d’espressione, due punti cardini della civiltà occidentale, lasciano spazio alla sensazione che chi realmente governa siano le lobby finanziarie attraverso lo strumento della comunicazione, per imporre i loro indirizzi  attraverso l’apparente libertà. L’emancipazione femminile, frutto del fermento cristiano (al di fuori del cristianesimo la donna è avvilita), si sta tramutando nel suo opposto: mai come oggi la donna è costretta a faticare più dell’uomo. La valorizzazione della persona (eredità cristiana anche questa) si è ridotta alla concezione individualistica della società con la conseguenza negativa (fra le altre) del disprezzo della famiglia e delle comunità intermedie. Le arti, dapprima idolatrate, portano in sé un germe di dissoluzione: la bellezza e l’armonia sono relegate agli ambiti commerciali. Non è una visione pessimista è l’evidenza del compito che spetta ai cristiani. Tocca a noi far nascere il gusto del bello, dello splendore dell’amore, della fiducia di conoscere la verità. C’è da fare per i giovani: occorre educarli con l’esempio e con il coraggio.

lunedì 19 ottobre 2015

Una recensione "alla Miriano" di Siamo in missione...

di Costanza Miriano
La prima volta che ho pensato che ci si potesse fare santi facendo cose normali è stata per me una folgorazione. È successo quando avevo più o meno dieci anni, credo, leggendo Come un piccolo fiore, la storia di santa Teresina di Lisieux raccontata ai bambini. Era (è, a dire il vero, io l’ho comprato ai miei figli una ventina di anni dopo averlo letto) un libro con delle figure bellissime che avevo trovato a casa della zia Teresa, e mi è rimasto impresso a fuoco nella mente, anche perché dovendolo restituire lo avevo letto famelicamente cercando di memorizzarlo.
Mi ricordo come se fosse oggi che lei chiedendosi come da quel suo Carmelo potesse vivere il martirio, la missionarietà, decideva di accogliere tutte le occasioni che la circostanza le offriva per vivere con tutto l’amore di cui fosse capace: prendersi gli schizzi in faccia lavando i fazzoletti accanto a una consorella maldestra, accompagnare la sorella anziana e bisbetica al refettorio, togliere le ragnatele dal chiostro. Fare le cose con amore è la cosa più preziosa agli occhi di Dio, che vuole il nostro cuore, tutto intero. Per questo una giovane suora di clausura è diventata patrona delle missioni, perché Dio ha bisogno dei nostri cinque pani e due pesci, e poi ci pensa lui a moltiplicare. Il problema è che quei cinque pani e i due pesci sono tutto quello che abbiamo, e al momento di lasciarlo andare via fa male. A volte malissimo. Ma poi si diventa fecondi in modo stupefacente, dicono le vite dei santi.
Mi era sembrata una intuizione meravigliosa, ma comunque, mi dicevo da piccola, attuabile meglio in monastero, dove, pensavo, è più facile essere unitari, tutti consegnati a Dio. Solo molti anni dopo ho incontrato Pippo Corigliano, e con lui il carisma dell’Opus Dei, che lui incarna e vive, e insieme sa raccontare e comunicare benissimo, essendo questo, comunicare, il suo lavoro (è un ingegnere, in realtà, ma è napoletano, quindi una specializzazione di ingegneria a sé). L’idea di santificare il lavoro, la vita quotidiana, l’idea che la santità fosse non solo alla portata dei laici, ma anzi dovesse essere il loro obiettivo “normale”, esattamente come per i consacrati, è stata la grande novità portata nella Chiesa da san Josemaria Escrivà, che in questo ha anticipato il Concilio Vaticano II. Di cento anime, ce ne interessano cento, diceva.3Dnn+9_2C_pic_9788804658641-siamo-in-missione-per-conto-di-dio_original
Come la vita, così, cambi completamente prospettiva è il tema del nuovo libro di Pippo Corigliano, che nel frattempo, da quando ci siamo conosciuti per scambiarci i libri con dedica, è diventato praticamente uno di famiglia (se cucino un po’ meglio del solito i miei figli mi chiedono “ma perché non hai invitato Pippo?”, e la risposta è, nel caso in cui non sia invitato, “perché ci sono troppi calzini a terra, mi vergogno”). Si chiama “Siamo in missione per conto di Dio”, ed è pubblicato dalla Mondadori (mica cotiche). La citazione dei Blues Brothers non è casuale: quello è veramente il film preferito di Pippo, e i due fratelli delinquenti e squinternati che vanno in giro con gli occhiali da sole anche di notte e mezzo pacchetto di sigarette giusto per arrivare a Chicago hanno qualcosa in comune con l’elegante ingegnere: il senso dell’umorismo, e la tenace volontà di lavorare per lo stesso Principale. E quando Pippo incontra qualche collega che lavora per lo stesso Principale, cioè qualcuno che con umiltà e amore cerca di santificare il lavoro, di santificarsi nel lavoro, e di santificare gli altri col lavoro, drizza le antenne. Cerca di conoscerlo, di fare amicizia, di fare insieme un pezzo di strada, brevissimo o lungo una vita che sia, l’importante è che a strada porti in Paradiso.
In questo suo ultimo libro c’è quindi prima qualche riflessione – breve, è pur sempre un ingegnere – giusto quello che serve a inquadrare la questione (il lavoro) e a mettere a punto l’atteggiamento migliore da prendere (renderlo proprio il luogo e il mezzo in cui ci si santifica, non quella cosa nonostante la quale si fa il bene). Poi c’è una magnifica galleria di personaggi che provano o hanno provato a vivere la loro chiamata nel mondo prendendo il lavoro con passione, serietà, amore: e si va da Indro Montanelli a zia Lucrezia, dalla signora delle pulizie al direttore generale della Rai (Ettore Bernabei), da Leonardo Mondadori a Susanna Tamaro. Passando, va be’, per me, ma in quel caso Pippo è accecato dall’affetto, che gli rende perdonabile anche il fatto che durante le riunioni di lavoro a Rai Vaticano a volte metto lo smalto (d’altra parte mica ci vuole il cervello per passare una mano di color prugna sulla unghie: solo, non è elegantissimo da parte mia. E adesso la circostanza rimarrà immortalata nei secoli in questo volume: ormai è tardi per chiedere il ritiro delle copie dal commercio?). Comunque, a tutti i complimenti che mi riservano queste pagine va fatta una tara abbondantissima, io lo dico.
Che dire? Le storie raccontate sono appassionanti, sembra di ficcare il naso dietro le quinte di tanti snodi importanti nella storia del nostro paese (Bernabei, Mondadori Montanelli…), oppure nella casa di Susanna Tamaro, nei cuori di persone normali come la signora Pina, di cui Pippo sembra aver carpito il segreto più profondo, e sono certa che l’abbia fatto, non so come, guardando da lontano, con la sua discrezione e il rispetto delle distanze che lo caratterizza. Che poi alla fine a me è questo che interessa: il cuore, la verità delle persone.
Ovviamente nel libro c’è molto di più, ma si sa che ognuno coglie quello che vuole nelle pagine che ha davanti: c’è un excursus della concezione del lavoro nella storia della spiritualità, e nella storia vera e propria, ci sono ritratti di città e realtà diverse, storie di aziende cardine per il nostro paese, come la Rai, l’Olivetti, la Mondadori, ci sono riflessioni sulla professionalità e sulla preparazione, sulla bellezza, sull’umiltà, l’inventiva e la capacità di trovare soluzioni. E ci sono momenti in cui la piccola Teresa di Lisieux torna alla mente, come nelle parole sulla signora Pina, forse la mia preferita: “Mai l’ho sentita lamentarsi per le cose da fare ogni giorno, tutti i giorni, nel servizio del marito e dei figli. E ho sempre presente il suo senso di donazione nel cucinare bene un pranzo, con un’attenta preparazione, con la fettina cotta al momento perché sia mangiata ben calda, col pensiero al piatto preferito di ciascuno. «Mi aiuta l’esempio di chi sa dire di sì fino all’ultimo dettaglio, quando si è stanchi e magari c’è da preparare un vassoietto con una camomilla per qualcuno che sta male. Sono momenti in cui serve un pensiero soprannaturale perché umanamente la voglia sarebbe a zero. “Gesù, voglio preparare questa camomilla per te” e così ci metto quell’ingrediente in più d’affetto. La persona che riceve la camomilla non verrà mai a saperlo. Mi aiuta tanto sapere che Dio mi vede sempre e che conosce le mie tensioni, i miei sforzi”.

Domenica 25 ottobre nell'ambito di "Bookcity" Gianarturo Ferrari presenterà con Pippo C. "Siamo in missione per conto di Dio/La santificazione del lavoro" alle 17 nella libreria Mondadori in Piazza Duomo. I milanesi, e non, sono invitatissimi.


venerdì 16 ottobre 2015

Santificare il lavoro, santificarsi nel lavoro e santificare gli altri col lavoro

 


 La professionalità è di moda. Se dico a una persona “lei ha professionalità” la rendo felice. Ma quali sono le motivazioni per lavorare con impegno? Spesso lo stimolo è il guadagno, l’autosoddisfazione, la considerazione sociale, mantenere la famiglia oppure semplicemente il senso del dovere. Ho incontrato una persona che mi ha insegnato a lavorare per amore: è San Josemaría Escrivá. E ho conosciuto un Papa che mi ha fatto capire che “l’uomo può partecipare all’operare di Dio nella creazione del mondo” (Benedetto XVI,  Parigi 12.9.08). Nel lavoro si riflette il mio atteggiamento nei confronti di Dio. Nell’Antico Testamento è predominante l’invito a riconoscere la potestà dell’unico Dio. Nel Nuovo Testamento Dio è presentato come un Padre che ci richiede amore (per Dio e per il prossimo: parabola del buon samaritano) e l’atteggiamento umile (parabola del fariseo e del pubblicano). Devo riscoprire come fondamentale l’atteggiamento di umiltà e di amore mentre talvolta il cristianesimo mi è stato presentato erroneamente come una morale rigida, un sistema dottrinale o un’ideologia. Umiltà e amore mi devono accompagnare anche al momento di lavorare e ciò comporta l’accoglienza verso chiunque, lo sforzo di far bene e riconoscere serenamente i miei limiti. Detto meglio: santificare il lavoro, santificarsi nel lavoro e santificare gli altri col lavoro. Ogni sentiero porta ad una destinazione. Il sentiero dei figli di Dio porta in Paradiso, perciò si può e anzi si deve lavorare con allegria.

mercoledì 14 ottobre 2015

Napoli: un modello di amore per il lavoro

L'Avvenire del 13 ottobre dedica al libro un estratto dal titolo:

NAPOLI: UN MODELLO DI AMORE PER IL LAVORO

L’amore c’entra con il lavoro. Quando l’Olivetti nel dopo guerra impiantò una fabbrica a Pozzuoli (Napoli), gli operai lavoravano a cottimo, cioè venivano pagati in base alla produzione. Le donne napoletane, che avevano figli a casa in condizioni disagiate, sbalordirono tutti perché riuscivano a produrre tre volte di più delle colleghe del Nord. La relazione tra cuore e lavoro, tra umanità ed efficienza, è sorprendente.
Napoli, per esempio, scoraggia tutti quelli che hanno una cultura sociologica ed economica moderna. È una città che nell’insieme non funziona e non dà speranze di funzionare. Persino Aldo Cazzullo, nel suo L’Italia s’è ri-desta (un noto libro sulla ripresa dell’Italia), quando arriva a Napoli le dedica un capitolo affettuoso ma sfiduciato. E invece, per capire Napoli, per capire la differenza fra Napoli e una qualsiasi città economicamente depressa, bisogna partire dall’animo dei napoletani. Bisogna capire come pensano, qual è la loro affettività, come intendono la vita, come percepiscono l’arte, come cantano. e qui si apre un mondo. Si potrebbe ricordare che la Napoli dei Borboni, malgrado la leggenda nera creatale attorno, era una città fiorente dove le arti, l’industria, l’istruzione, la religiosità prosperavano grazie a una grande tradizione.
Napoli era nel Seicento, con 400.000 abitanti, più popolosa di Londra e di Parigi, mentre Roma arrivava a stento a 100.000 abitanti. Sant’Alfonso de’ Liguori, protagonista del Settecento napoletano, esprimeva bene le eccellenze di Napoli nella musica (fra l’altro ha composto Tu scendi dalle stelle e altri canti popolari), nella pittura, nella cultura: è stato l’ultimo Dottore della Chiesa nel senso classico, riformatore della teologia morale. Tutto questo si è spento con la fine dell’autonomia: una vicenda che non si può approfondire in questa sede. È stata tolta la speranza a una città popolosa le cui attuali condizioni di vita non consentono una ripresa socioeconomica. Napoli può contare quasi unicamente sulle risorse interiori derivanti dalla sua cultura, e perciò è interessante. Chi va a Napoli parte con la paura di essere scippato, ma torna col desiderio di coltivare amicizie con napoletani o di trovare un marito o una moglie partenopei. Prova ne sia che, in tutta Italia, quando in un ambiente c’è un napoletano si respira aria di simpatia, di libertà, di umorismo. E questo che c’entra con il lavoro? C’entra. Perché chi concepisce il lavoro umano come la prestazione di una macchina o unicamente come mezzo per ottenere soldi e incarichi (in altre parole: chi è figlio della cultura dominante) ha una concezione di vita e di lavoro riduttiva. Il lavoro umano o è umano o è schiavitù interiore. Perciò è utile lo shock di una visita a Napoli, perché lì si capisce che l’uomo dipende non solo dalle condizioni economiche ma anche e soprattutto dalle risorse interiori.
Nei miei vent’anni, con alcuni amici avevamo organizzato un doposcuola per i ragazzi delle scuole medie del quartiere popolare di forcella. Molte famiglie erano in condizioni disagiate. Ricordo, fra l’altro, la sorpresa nel trovare tanta allegria in una famiglia con sei figli che viveva in una sola stanza. Per parlare di un’esistenza felice e della santificazione del lavoro, occorre partire dal cuore dell’uomo non dal suo reddito. La situazione di Napoli è, da questo punto di vista, un caso limite che fa riflettere.

martedì 13 ottobre 2015

Ho visto la luce...

Siiiii!!!... Ho visto la luce! Così dice il nuovo libro "Siamo in missione per conto di Dio" che oggi nasce in libreria. O almeno dovrebbe esserci perché ormai le librerie sono come le edicole che esauriscono presto le scorte...
Comunque grazie per l'attenzione e ... al lavoro!

lunedì 12 ottobre 2015

Ricordo di Odoardo Sannipoli

Avevo appena aderito all'Opus Dei quando ho conosciuto un "fratello maggiore" ingegnere, di una saggezza antica. Ecco come mi piace ricordarlo:

 Odoardo è sullo sfondo

 In primo piano a sinistra San Josemaría
Urio, Lago di Como. 1968

Aveva un amore grande all’Opus Dei e a San Josemaría: lo manifestava senza troppe parole ma con uno sguardo intenso. Aveva fatto grandi cose per la crescita dell’Opera in Italia ma non ne parlava cosicché a noi che siamo venuti dopo restano nella memoria soprattutto i suoi detti sapienziali: comunicava dati di esperienza in forma sintetica e da ingegnere. Per esempio. Qual è l’età ideale per una ragazza che si sposa? “L’età del marito diviso due più sette. Se è più giovane, meglio”. Si rideva per queste affermazioni da ingegnere ma si capiva che c’era un pensiero, una saggezza di fondo. Qual è la traiettoria ideale di un’auto in curva? Quella più larga (contrariamente all’istinto che porta a stringere): è la cosiddetta “legge del pirolo” che Odoardo aveva codificato. Basta verificare. Come si comporta il tempo atmosferico? Odoardo spiegava che, nel nostro emisfero settentrionale, le perturbazioni vanno da Ovest a Est. La perturbazione è un vortice che ha un senso antiorario. L’approssimarsi della perturbazione è caratterizzata quindi dal vento del sud fino all’arrivo del centro del vortice, con tuoni, pioggia, venti disordinati per poi passare al vento di tramontana, segno del bel tempo che arriva. Uno schema semplificato ma utile. Non sempre le perturbazioni hanno le stesse dimensioni, possono prenderci di striscio passando sopra o sotto il punto in cui siamo, possono essere più o meno veloci e consistenti, però la legge generale con cui procedono è sempre quella. Quando consulto le previsioni del tempo, Odoardo mi è presente.
Quanto abbia fatto Odoardo per lo sviluppo dell’Opus Dei in Italia è difficile riassumerlo. Grazie ai ricordi di Antonpaolo Savio qualcosa si può mettere insieme. Odoardo aveva chiesto l’ammissione all’Opera dopo aver conosciuto Armando Serrano, il portoghese che guidava l’auto di San Josemaría e scattava le foto destinate a documentare i primi tempi dell’Opus Dei dopo il trasferimento del Fondatore a Roma. Armando era intraprendente e andava ad ascoltare le lezioni all’Università in differenti facoltà. Odoardo apprese da lui lo slancio apostolico e, un giorno del ’51, notò uno studente d’ingegneria un po’ più giovane di lui, abilissimo nel disegno. A sua volta Antonpaolo aveva apprezzato un progetto di Odoardo su case a schiera, situate a Gubbio, sua città natale. Nacque così l’amicizia e un giorno Odoardo, sulla scalinata di San Pietro in Vincoli (presso la facoltà d’ingegneria), propose ad Antonpaolo di andare ad assistere ad una meditazione predicata di don Salvatore Canals. Antonpaolo andò e poco dopo chiese l’ammissione all’Opus Dei: cominciò così un percorso che vide i due quasi sempre insieme nel progettare ed eseguire la costruzione di centri dell’Opera in Italia.
Odoardo lavorò alla realizzazione di Salto di Fondi: una tenuta agricola che don Alvaro aveva voluto realizzare per garantire gli approvvigionamenti per gli allievi del Collegio Romano e della sede centrale dell’Opera. Si era nel dopoguerra ed erano periodi di scarsità alimentare.
Ogni tanto Odoardo lasciava lo studio che condivideva con Antonpaolo in Via Lucrezio Caro per qualche missione speciale. Era portato ad avere un rapporto diretto con gli operai ed era diventato famoso il suo metodo “maieutico”. Non diceva direttamente come dovevano fare ma lo faceva dire a loro intervenendo solo se necessario. Una “missione speciale” fu la realizzazione del centro dell’Opera a Napoli al Vomero, tuttora esistente in via Luca Giordano. Dice la leggenda che Odoardo non avesse previsto i rubinetti dell’acqua calda perché i membri dell’Opera vivevano una vita piuttosto austera (si era alla fine degli anni ’50).  Fortunatamente don Pedro Casciaro (uno dei primi dell’Opera che seguiva lo sviluppo delle attività in Italia) intervenne in tempo e l’acqua calda ci fu…
Odoardo lavorò con altri alla realizzazione della RUI, la residenza universitaria in zona Eur a Roma. Anche qui ci fu la collaborazione, oltre del solito Antonpaolo, di don Pedro Casciaro e di un giovane architetto bergamasco, Elia Acerbis ora don Elia. A quest’ultimo si deve in particolare la realizzazione del bellissimo oratorio (cappella).
Nel periodo nordico di Odoardo ci fu una delle tante ristrutturazioni del Castello di Urio, centro di convegni sul lago di Como. In particolare Odoardo era orgoglioso per l’eleganza del fregio barocco messo sulla sommità del frontone con lo stemma del castello. Successivamente progettò l’oratorio con uno stile così adeguato all’epoca originaria da farlo sembrare esistito da sempre. Anche stavolta collaborarono con lui don Pedro Casciaro (nei primi tempi) e don Elia Acerbis.
Nel centro analogo di Castelgandolfo diresse il cantiere e progettò l’oratorio della Villa in stile rinascimentale. I marmisti che completarono l’oratorio erano gli stessi che avevano lavorato a Urio e provenivano da Como: una conferma del prestigio dei maestri comacini. In particolare Odoardo curò con passione la realizzazione della Madonna in ceramica, copia di un Della Robbia, in Toscana, con gli stessi metodi di lavorazione del Quattrocento. In particolare mise i monti dello stemma della città di Gubbio sopra i braccioli del trono della Madonna, modificando leggermente l’originale che aveva dei monti stilizzati ma non di Gubbio… Il suo amore per Gubbio era proverbiale e si attribuiva a lui la convinzione che il centro del mondo fosse il birillo bianco posto nel mezzo del biliardo del caffè principale della città. Non so come fosse nata questa leggenda.
Nel frattempo Odoardo lavorò all’ampliamento del Centro Elis con la palestra e le aule professionali. Si occupò anche del Casale Nuovo di Ovindoli e della sistemazione del Centro di Tre Fontane.
Odoardo aveva modi tipicamente umbri che sembravano bruschi a chi non conosce quella regione ma non perdeva mai la calma. Una volta gli sentii dire che aveva imparato da suo padre, che era capace di arrabbiarsi più volte al minuto: per reazione aveva deciso di non arrabbiarsi mai.
Si illuminava quando gli si parlava di San Josemaría o quando gli raccontavano che qualcuno si era avvicinato al nostro apostolato. Un grande cuore, un uomo solido, un maestro di vita.



domenica 11 ottobre 2015

Appuntamenti e video per "Siamo in missione per conto di Dio"

Martedì 13 ottobre è in libreria "Siamo in missione per conto di Dio / La santificazione del lavoro" Ed. Mondadori

Domenica 25 ottobre Gianarturo Ferrari presenterà il libro nella libreria Mondadori di Piazza Duomo alle 17

Venerdì 27 novembre alle 21 presso l'Icef di Piazzale Belle Arti il libro sarà presentato a Roma

Javier Martinez Brocal mi ha intervistato sul tema del libro. Cliccare su: https://www.youtube.com/watch?v=wIkEdTRzFnw



giovedì 8 ottobre 2015

Questo Papa è più cattolico di me

 
Si sa che i bambini dicono verità che lasciano sconcertati. Il figlio di sei anni di un mio amico ha detto: “ho capito. Dio sembra che perde sempre, ma poi vince sempre”. Mi è venuto in mente quest’episodio rivedendo il discorso del Papa al Congresso degli Stati Uniti. Tanti applausi e tante standing ovation per la prima volta di un Papa davanti al parlamento del Paese più potente del mondo che è nato protestante (viene in mente il discorso di Paolo all’aeropago di Atti 17, 22-31). Evento importante anche perché quel discorso ci dice molto dello stile di Francesco. Non è partito da concetti astratti ma dall’esempio storico di 4 grandi americani, e ha incoraggiato l’intero popolo americano, attraverso i suoi rappresentanti, a seguirne l’esempio. Tutto in chiave positiva e stimolante, senza trascurare i temi caldi sul tappeto: libertà per tutti (con possibilità di obiezione di coscienza), integrazione razziale, pena di morte, traffico di armi, attenzione ai poveri, intenso rapporto personale con Dio.
A chi si chiede corrucciato se questo Papa è cattolico direi di star sereno: questo Papa è più cattolico di me e di tanti. Chi si scandalizzò perché Gesù mangiava con gli amici di Matteo (Matteo 9, 9-13) non si deve oggi preoccupare per questo Papa che parte dalle persone reali per portarle alla verità, la via e la vita, come osserva il Cardinal Scola. Preghiamo ora per il Sinodo ma senza timori. Ne nascerà un grande impulso per la famiglia, che è il punto  di attacco del demonio.

domenica 4 ottobre 2015

Siamo in missione per conto di Dio...

Il libro sarà in vendita dal 13 ottobre.
Racconta cosa ho capito sulla santificazione del lavoro grazie a San Josemaría Escrivá e all'esempio di alcuni personaggi che mi hanno insegnato qualcosa. Ho dovuto limitarmi ad alcuni anche se ho imparato (poco) da molti di più. Ecco chi sono:

Ettore Bernabei
Floriano Noto
Gregorio Fogliani
Pina Cannas
Tutto il centro ELIS
Pierluigi Bartolomei
per la prima parte "Santificare il lavoro"

Mia zia Lucrezia
San Josemaría
Don Alvaro e Giovanni Paolo II
Indro Montanelli
Giusi Sorci
per la parte "Santificarsi nel lavoro"

Leonardo Mondadori
Susanna Tamaro
Alessandro D'Avenia
Costanza Miriano
Paola Grossi Gondi
Tonino Battiata
per la parte "Santificare gli altri col lavoro"



venerdì 2 ottobre 2015

Lo sguardo di Maria

 
 L’amore è una cosa meravigliosa, recitava una nota canzone: ma dir così è poco. Noi viviamo d’amore, siamo nati dall’amore, siamo cresciuti nell’amore:  ci ha dato forza l’amore. Diceva Gesù a Santa Caterina: “Non siete fatti d’altro che d’amore”. Mi piacciono i quadri della Madonna che mi guarda. Così come guarda me guarda chi  si ferma davanti a lei, ed è giusto che sia così. Per lei siamo tutti figli unici. Lo sguardo racconta l’animo: “la lampada del corpo è l’occhio” dice Gesù (Mt 6,22). Nello sguardo che i grandi pittori hanno attribuito alla Vergine vedo l’amore che ha per noi. Scelgo sempre le immagini della Madonna che mi guarda, anche se sono belle quelle in cui è pensosa. 



Le cose che più valgono sono riconducibili agli sguardi. Lo sguardo dell’amico del cuore, lo sguardo della donna innamorata è esplosivo. Nel Paradiso non ci stuferemo di guardare Dio, come capita agli innamorati.
Il mese di ottobre è un mese di particolare devozione alla Madonna. A lei affidiamo il Sinodo sulla Famiglia che tratterà dell’ambiente in cui s’impara ad amare, dove tutto è gratuito: l’ambiente prezioso in cui nasce il bene. Non vale la pena ascoltare chi racconta solo le inadempienze e le problematiche della famiglia: anche quelle insegnano a comprenderci fra noi, che siamo tutti limitati. Chi non ricorda con affetto i difetti del proprio padre e della propria madre? Anche quelli sono serviti per educarci. Non ci preoccupiamo più di tanto. Guardiamo Maria e i suoi dolci occhi recitando il Rosario.