giovedì 22 settembre 2016

Il faro di civiltà oggi sono le case dei cristiani

La navicella della Chiesa non affonderà anche se è continuamente minacciata. Nei secoli passati le persecuzioni dall'esterno e le lacerazioni all'interno non sono mancate e oggi sembra che l'unità della Chiesa sia fuori discussione. Stavolta la minaccia viene dall'onda ateistica che usa i penetranti mezzi di comunicazione. Chi salverà la Chiesa? Nel dilagare delle invasioni barbariche i monasteri salvarono e diffusero i semi della fede, della cultura e del vivere civile. Oggi sono le famiglie che sono chiamate ad essere il focolaio di amore, di fede e dei fermenti culturali che potranno consentire una rinascita di una civiltà cristiana dalle ceneri che ricoprono le menti e i cuori dei fedeli tiepidi, soggetti all'influenza della cultura dominante. Non è facile il compito della famiglia. Deve sopravvivere alle difficoltà economiche e culturali come una tenda nel deserto esposta ai venti e alle intemperie. E' utile la devozione alla coppia di amici di San Paolo Aquila e Priscilla, marito e moglie, che esercitarono un apostolato audace, personale, e ospitarono nella loro casa la comunità della Chiesa primitiva. Oggi la Chiesa, che dispone di una organizzazione gerarchica e di movimenti efficienti, conta soprattutto sulle famiglie il cui  ambiente deve essere particolarmente attrezzato: un clima allegro e sereno, una fede reale che che alimenti un rapporto personale intenso con Dio con la coscienza di essere in missione per conto Suo. I monasteri di oggi sono le case dei cristiani.

domenica 11 settembre 2016

Una lettera che è migliore di una bella recensione

Scrivo libri per dimostrare che la vita cristiana porta la felicità. Un amico mi ha inoltrato il commento di uno psicoterapeuta che ha letto "Siamo in missione per conto di Dio"...
Caro ....,
desidero informarti di una imprevedibile "evoluzione", successiva alla nostra giornata di rilassante quiete estiva al ......
Premesso che la tua gradita compagnia mi ha fatto trascorrere bellissime, serene e riposanti ore in riva al mare, quello che mi ha stupito è il graduale ma progressivo cambiamento di prospettiva che ho notato nella mia mente e nei miei pensieri nei giorni a seguire.
Tutto è iniziato quando ho messo mano al libro che mi hai regalato.
In tutta onestà pensavo che non avrei avuto una grande condivisione con gli argomenti trattati.
Mi aspettavo che il tema del lavoro, che mi interessa moltissimo (sono notoriamente uno stakanovista che lavora 12 ore al giorno), fosse trattato con la solita magniloquente retorica buonista.
Con questo aprioristico giudizio ho quindi iniziato, un po' svogliatamente, la lettura.
Prima sorpresa: lo stile non era assolutamente ridondante ed enfatico ma efficacemente lineare, scorrevole, chiaro e immediato.
Seconda sorpresa: avevo deciso di sottolineare con una matita tutti i concetti, i ragionamenti e le tesi su cui mi sarei, inevitabilmente, trovato in disaccordo.
Già all'introduzione cambio opinione... mi accorgo che ciò che Pippo Corigliano intende per Cultura del Lavoro, corrisponde perfettamente al mio modo di pensare.
Sottolineo a matita le parti che condivido e a lato metto il numero 1 (primo concetto che ritengo giusto e valido).
Proseguendo nella lettura trovo una seconda opinione condivisibile e poi una terza, una quarta.....
Alla fine mi accorgo, con non poco stupore, che in ogni pagina trovo almeno un argomento su cui sono perfettamente d'accordo con l'autore.
Tutta questa approvazione per le tesi sostenute da Pippo Corigliano ha iniziato a generare in me tutta una serie di dubbi e perplessità.
-Sono veramente laico come ho sempre sostenuto?
-Il mio stile di vita mi soddisfa?
-Sono stato un buon figlio?
-Sono un buon genitore?
-Sono un buon medico?
Il risultato di tutte queste riflessioni è una sorta di "magone" che mi sento sullo stomaco da circa 20 giorni.
Se ti fa piacere e se hai un po' di tempo da dedicarmi potresti aiutarmi a capirci qualcosa di più?
Buona serata, un abbraccio.

giovedì 8 settembre 2016

La fertilità degli italiani


Non si capisce l'attacco concentrico al ministro Lorenzin per la sua campagna sulla fertilità degli italiani. Sembra che nessuno si accorga che sono anni che gli economisti, i sociologi, i dirigenti degli istituti pensionistici, ecc. predicano incessantemente che l'indice di natalità in Italia è troppo basso e che bisogna far qualcosa per invertire la tendenza. Il ministro Lorenzin ci ha tentato ed è il primo politico di spicco in Italia a prendere un'iniziativa di tal genere, dal dopoguerra in poi. Nemmeno i democristiani avevano sollevato il problema. Diversamente dall'Europa dove, a cominciare dalla Francia, si sono prese misure efficaci per arginare il calo delle nascite.
Si dice che le immagini usate per la campagna pubblicitaria non sono adatte. Bene. Si cambi lo stile ma è il messaggio ad essere importante. Né vale dire che le famiglie non faranno certo figli grazie ad una campagna pubblicitaria perché è proprio il messaggio di questa campagna che getta luce sul problema: in Italia non si fanno figli perché le condizioni strutturali, economiche e culturali lo impediscono. Finora ci siamo accapigliati sulle unioni degli omosessuali e il loro ordinamento giuridico (pare che fosse un problema urgente). Vogliamo finalmente chiedere ai nostri governanti di rimuovere le cause della nostra denatalità? Mi pare che la Lorenzin vada ringraziata.


lunedì 5 settembre 2016

Il senso dello Stato


Si dice spesso che gli italiani non hanno il senso dello Stato. Si capisce il perché dando un ripasso alla storia, quella vera, non ideologica. Il nostro è uno Stato costruito in maniera artificiosa contro il comune sentire della gente, seguendo dottrine liberali importate dall'estero e ignorando la cultura e la fede delle popolazioni. Il livello culturale del Piemonte del'800 era inferiore a quello degli altri stati italiani. La prima preoccupazione del nuovo parlamento piemontese, fin dalla prima guerra d'indipendenza è stata la soppressione dei gesuiti, compresi i gesuiti piemontesi. Da allora è stato un continuo ostacolare il sentimento religioso della popolazione. Il fascismo ha cambiato rotta ma proponendo una mistica civile in alternativa a quella cristiana, considerata sempre con sospetto. Il secondo dopoguerra ha visto una vera ripresa del Paese ad opera soprattutto di cattolici che le potenze vincitrici hanno sostenuto fino a che l'Italia non è diventata la quarta potenza industriale mondiale attorno al '62. Da allora è cominciata, ispirata dall'estero, una campagna denigratoria verso i credenti, che ancora perdura, anzi va crescendo ponendo il Paese di fronte a problemi fittizi, trascurando i problemi reali. Un problema reale è il calo delle nascite e invece ci dobbiamo accapigliare sulle unioni omosessuali, un problema reale è quello della ripresa economica e ci viene imposta una moneta unica, mal concepita fin dall'inizio, che con lo spauracchio dell'inflazione costringe i cittadini a pagare più tasse, mentre le banche non prestano agli imprenditori ma s'impegnano in speculazioni finanziarie consentite dalla deregulation importata dall'estero.
Il miracolo economico c'è stato mentre vigeva la Costituzione elaborata nel dopoguerra e invece ora ci dobbiamo accapigliare per cambiarla o meno. Si vuole garantire la governabilità, si dice, ma la governabilità serve quando c'è un buon governo altrimenti peggiora le cose. Se il governo non è illuminato la governabilità porta più buio. Il problema reale è formare una classe poltica preparata come lo era nel dopoguerra: la seconda repubblica è sembrata finora un festival dell'improvvisazione.
Il Paese reale è vitale. Il disastro del recente terremoto ha visto mobilitarsi forze vive e sane, dai Vigili del Fuoco ai volontari, dalla Protezione civile alla generosità dei cittadini. Il Paese si riconosce nella bandiera italiana cucita sui giubbotti dei soccorritori in modo ancor più consistente che per le olimpiadi o i mondiali di calcio. Invece il senso dello Stato si rivela quasi inesistente quando i cittadini si trovano davanti ad un'amministrazione pubblica inaffidabile in cui non si riconoscono.

giovedì 1 settembre 2016

Il dolore


Il dolore. E' un mistero dentro di me. Muore il mio più caro amico d'improvviso. Lui uomo di fede e io che cerco di vivere la fede. Eppure non controllo me stesso. Mi dico che lui gode della vita eterna, che la Risurrezione di Cristo è la garanzia, che ci rivedremo in cielo, ma non obbedisco ai miei pensieri. La notizia mi arriva la sera, dovrei mettermi l'animo in pace ma non riesco a dormire. Mi ritorna in mente il grande Agostino che si trattiene dal piangere la morte di sua madre perché la fede sua e di lei non consentono la tristezza. Poi il pianto, da solo. Mi conforta il libro delle sue Confessioni.
  Ettore Bernabei aveva 95 anni. Alla sua festa di compleanno, il 16 maggio scorso, disse ai suoi figli e nipoti riuniti che l'unico suo timore era il giudizio particolare: il momento in cui sarebbe apparso al cospetto di Dio per il primo giudizio. Se lui provava timore io dovrei sentire terrore. Era un uomo giusto, l'esempio della santità nella vita del nostro tempo. Un abbraccio l'ha accolto.
  Mio padre mi ha trasmesso tanto. Ho avuto il dono grande di conoscere San Josemaría Escrivá, il mio padre nella fede. Ho avuto la grazia di conoscere Ettore Bernabei, maestro di pensiero, modello di vita. Ora che lo sento vicino non lo voglio deludere.
  Il dolore per le sofferenze del terremoto recente mi conferma che l'esperienza del dolore non è descrivibile. Non si può circoscrivere: ci porta nel buio dell'esperienza di Dio. Il dolore dà la misura della profondità dell'amore.